Errore di connessione

Una volta scrivevo tanto, una volta scrivevo spesso. Non m’importava chi leggesse o anche se qualcuno leggesse, lo facevo perchè mi piaceva, mi sfogava, semplicemente sentivo il bisogno di farlo. Stessa cosa succedeva con le foto, uscivo con la vespa per andare a fotografare, senza un vero perchè. Mettevo tutto sul mio deviantart (ma poi si usa ancora?), qualcuno commentava, ma non era importante. Poi sono cresciuto. A quanto pare è una cosa che succede a tutti. Improvvisamente dubbi hanno iniziato a balzarmi in mente “ma perchè farlo? alla fine non leggerà nessuno”, “la mia macchina fotografica è ormai vecchia, tutti girano con la reflex, che faccio foto a fare”. Ho perso contatto con quella parte, tutto quello rimasto è questo blog in cui mi sfogo quando momenti di depressione si fanno vivi, ma neanche sempre. Ho capito che mi manca quella parte. E buon natale.

Post a cuore aperto

“Ma non scrivi più?” mi ha chiesto nessuno. Perchè non ho mai scritto per altri, ma sempre e solo per me stesso, perchè mi piace ed è un modo per lasciar uscire un fiume di pensieri e svuotare, almeno un po’, la testa. Ho continuato a scrivere, in un libricino, in modo spontaneo, quasi selvaggio, ed è stato una sorta di esperimento in cui sono uscite fuori cose interessanti. L’ultimo anno per me non è stato semplice, senza una ragione specifica. O meglio, una ragione c’è, soffro di depressione, anche se non ho mai voluto ammetterlo, a me per primo e soprattutto agli altri.

Giorno dopo giorno, continuavo a sprofondare dentro un baratro, senza accorgermene. “Passerà, oggi è stato un giorno un po’ così, capita” continuavo a ripetermi. Però non passava, i pensieri peggioravano. “Sei un fallito, probabilmente non combinerai nulla di buono in vita tua”. Improvvisamente è diventato difficile persino alzarsi dal letto, trovare delle ragioni per vivere e continuare quella mia patetica vita. La cosa peggiore? Non ho mai parlato con nessuno, per quello stigma che ruota intorno alle malattie mentali, la paura di non essere compreso e di essere additato. Quei piccoli piaceri che tenevano insieme i pezzi, piano piano perdevano il loro potere adesivo. Spesso piangevo senza motivo, chiuso dentro la mia stanza. Un giorno di luglio, mentre guidavo in autostrada, ho iniziato a programmare come suicidarmi. Fortunatamente, in quel momento qualcosa è scattato, ed ho chiesto aiuto. Avrei dovuto farlo molto prima, ma si sa che ho un serio problema con la procrastinazione. Cavolo, questo post volevo scriverlo ad agosto ed è metà ottobre!

Sarebbe bello ora chiudere dicendovi che ora va tutto bene ed ho superato il demone cattivo, ma non è così e temo sia una cosa con cui dovrò convivere. Ammettere un problema è sempre il primo passo, ed anche quello più difficile. Se anche solo sospettate di avere un disturbo di questo tipo, non fate il mio stesso errore e parlate con qualcuno, possibilmente uno specialista. Anche io sto cercando di essere più aperto, per aiutare a diminuire lo stigma sociale che ci gira intorno, e far capire che la depressione non è una scelta, ma una malattia per cui, ogni anno, molte persone decidono di farla finita. Questo post è un altro passo in quella direzione.

L’anima non conta

Mettere su qualche canzone indie, aprire il browser, loggare nel blog ed iniziare a scrivere cullato da melodie conosciute a cui ritorno ogni volta che mi sento depresso. Questo è uno dei miei hobby preferiti, oltre a rassegnarmi al fatto di usare inglesismi. Ricordo ancora le parole del mio professore di lettere alle superiori: “l’uomo scrive con la stessa naturalezza con cui il ragno tesse la tela” citando qualcuno che non ricordo e a quanto pare neanche Google. Sarà vero? Non conosco molte persone, ma credo i tempi siano cambiati. Sicuramente però anche l’uomo, come il ragno, rischia di rimanere incastrato nella sua tela di parole e non riuscire più a liberarsene. Non riesco ad arrendermi alla mia mediocrità, sta tutta lì la causa della mia depressione. E un altro inutile passo in avanti l’abbiamo fatto.

Sistemi di riferimento

Non ricordo esattamente a quale età, ma imparai a fare la verticale quando ero molto piccolo. Penso intorno ai 5 anni, grazie ad un’insegnante di ginnastica che abitava nel complesso di palazzi dove ho vissuto fino agli 8 anni circa. Mi sarebbe piaciuto fare qualche anno di ginnastica artistica, ma riuscii a fare solo qualche lezione tramite il karate.

Ricordo anche di essere stato un bambino abbastanza irrequieto, alle elementari ero solito stare in piedi vicino al termosifone, non mi piaceva stare seduto. A casa ballavo continuamente e mia nonna disse che avrei dovuto fare il ballerino. Forse aveva ragione, ma per ora, apparte qualche passo di danza insegnato da una colombiana, non ho mai preso lezioni. A Rennes mi sarebbe piaciuto provare lindy hop, ma la barriera linguistica mi spaventava. Ho cercato qui nella mia città, ma ho trovato solo latino americani.

Il primo linguaggio di programmazione che ho appreso è stato il basic, tramite il cd demo della playstation 2, con cui facevo figure geometriche colorate che si muovevano. Sono stato sempre abbastanza propenso e affascinato dalla programmazione, forse avrei dovuto fare informatica. Senza contare il fatto che sono cresciuto a pane e videogames, dall’amiga 500, passando per la playstation fino al pc nell’era degli mmorpg.

Gli anni del liceo furono quelli in cui iniziai a leggere manga e guardare anime. Mi appassionai ancora di più alla cultura giapponese, passione nata con il karate che ancora praticavo. Mi piacerebbe ancora studiare il giapponese come quarta lingua. Gli ultimi anni del liceo invece iniziai a leggere molta narrativa, colpa del lavoro da bagnino, dove era uno dei pochi passatempi praticabili nei momenti morti, gli apparecchi elettronici e la sabbia non vanno molto d’accordo. Ed iniziai, di conseguenza, a scrivere parecchio, cosa che fortunatamente mi è rimasta.

Quando fu tempo di scegliere l’università ho praticamente considerato ogni facoltà possibile, apparte medicina, io e il sangue non siamo mai andati d’accordo. Alla fine la scampò fisica per la mia propensione matematica e la mia innata voglia di comprendere le cose. Questa sete di conoscenza è però in realtà più ampia: anche la psicologia e l’antropologia mi affascinano parecchio.

Non mi ricordo chi m’insegnò a giocare a scacchi, ma ho tutta la collezione delle uscite settimanali di dragon ball z e gt scacchi. Ho giocato seriamente per un anno con dei risultati promettenti, ma ho smesso per colpa della poca sportività fra i giocatori. Ogni tanto però mi piace dilettarmi con qualche partita.

Due anni fa ho iniziato a tirare con l’arco, visto che da piccolo li costruivo con spago e legni. Era rimasto un desiderio inespresso. Me ne sono ricordato guardando Arrow, una delle tantissime serie tv che seguo.  Ho anche ripreso a giocare a Magic: The Gathering, cosa che avevo appreso nei primi anni di liceo durante le salate.

Il punto del discorso è questo: ho avuto mille passioni diverse, di cui molte duravano solo per un periodo limitato, e questo mi ha fatto sempre sentire come un incoerente o uno con le idee poco chiare. Insomma, ho visto questo mio lato sempre come un problema. Negli ultimi tempi invece ho fatto un cambio di prospettiva, invece di vederla come incoerenza, la chiamo curiosità e sono contento di tutte le esperienze fatte, di quello che mi hanno lasciato e per tutte quelle che devo ancora fare. Come ogni buon fisico sa, prendendo il giusto sistema di riferimento, un problema può rivelarsi banale.

Bias mentali

Nel libro “Il senso delle cose” viene riportato un discorso di Feynman dove parla della sua prima moglie.

Quando si ammalò le regalai un orologio che invece delle lancette aveva dei grandi numeri che giravano man mano; a lei piaceva molto. Lo tenne con sé per tutto il tempo, sul comodino accanto al letto, per quattro, cinque, sei anni. Alla fine morì. Morì alle 9.22 di sera. E alle 9.22 in punto l’orologio si fermò, e non si mosse mai più. Non è incredibile?

Una storia bellissima, di quelle che potrebbero andare in tv su qualche programma di metà pomeriggio nei fine settimana, se non fosse che…

Mi ricordai però un paio di cose. Da qualche tempo – diciamo cinque anni dopo che l’avevo acquistato – l’orologio perdeva colpi: ogni tanto lo dovevo aggiustare, e quindi gli ingranaggi erano tutti un po’ più laschi. Inoltre, essendo la stanza in penombra, l’infermiera che compilò il certificato di morte lo aveva preso in mano per guardare l’ora, e poi lo aveva riposto.

L’infermiera aveva preso l’orologio, ormai fermo, per guardare l’ora e segnato quindi l’ora sbagliata. Questa storia, un po’ meno bella, ci fa capire due cose. La prima è che senza tutti i dettagli del caso non si può risolvere un mistero. La seconda, come essere umani tendiamo a cercare schemi e coincidenza là dove non ci sono e tendiamo per questo anche a non considerare alcuni dettagli, anche se magari sono quelli decisivi. Questo è quello che chiamo un bias mentale.

Piccola digressione: ho provato a trovare un corrispettivo italiano per il termine “bias” e wordreference mi dà pregiudizio o propensione. Per quanto questi termini siano corretti, io li immagino usati più a cose specifiche, un pregiudizio verso qualcuno o qualcosa, mentre quello che intendo io è proprio il fatto di pensare in modo fuorviante. Come se il treno dei nostri pensieri sia dirottato su binari preferenziali, che sono però sbagliati.

Questo succede perchè abbiamo una paura fottuta delle cose che non conosciamo, quindi il cervello tende a riportare tutte le nostre esperienze dentro scatole già più o meno note. Quello che si conosce, fa meno paura. Ultimamente provo a farci più caso, di quante volte do per scontato cose che non lo sono, oppure faccio supposizioni che non sono fondate. Il problema è che non sono sempre evidenti o non sempre sono consapevole di farle. Probabilmente questo è un tratto degli esseri umani molto difficile da correggere.

Mind the gap

Un vecchio proverbio afferma: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. In questo mare ci muore affogata un sacco di gente ogni anno. Io sono sempre alla continua ricerca di una perfezione personale, che, nonostante sia irraggiungibile, continua a farmi muovere. Moto perpetuo verso niente, depressione alle spalle. Per questo, quando dico qualcosa sulla falsa riga di “mi piacerebbe fare [x]”, molto probabilmente la faccio. In questo modo ho sempre vissuto senza dover dire “mi sarebbe piaciuto fare”, tranne per un’unica eccezione: suonare uno strumento. Ci ho provato, senza troppo successo.

Mi ricordo che alle superiori Jonathan, un mio compagno di classe, mi diede qualche lezione e mi prestò un suo basso per iniziare a strimpellare, ma dopo un po’ lasciai perdere perchè mi sentivo negato. Al solito, ogni volta che il gioco inizia a farsi duro, mollo senza neanche provarci. A volte mi chiedo come abbia fatto a laurearmi.

Ho provato poi con la chitarra, riuscivo a fare qualche canzone, ma ho abbandonato. La chitarra è di mio fratello e non potevo portarla a Camerino dove passavo la maggior parte del mio tempo. Non volevo comprarne un’altra. E mi ricordo che avevo un’altra scusa.

Mentre ero a Rennes, mi è (ri)capitato di dire che mi sarebbe sempre piaciuto saper suonare qualcosa. Ho deciso allora di riprovarci, con uno strumento diverso, che non fosse a corde. Qualcosa che non fosse troppo difficile. Ho pensato prima al flauto, visto che avevo imparato a suonarlo alle medie, come tutti, ma non m’ispirava. Qualcosa che potessi portare sempre con me. Così ho comprato un’armonica a bocca.

È bello coprire quel buco che separa il dire e il fare. Se vi capita quindi di dire “mi piacerebbe fare [x]”, il mio consiglio è semplicemente di muoversi per farlo. Anche perchè i chiacchieroni che parlano senza dire niente li ho sempre sopportati poco.

Ma petite Rennes

Partiamo dal presupposto che i francesi mi stavano sul cazzo. Non per un particolare motivo, ma per una presa di posizione, così per fare, come va tanto di moda adesso. L’anno scorso mi è stato proposto di passare un mese a Rennes, in Bretagna, e mi sono detto perchè no, è pur sempre un’esperienza. Poi mi sono ritrovato a fare il possibile per tornarci e ho avuto la possibilità di starci per sei mesi. Probabilmente i miei sentimenti per questa città non sono totalmente obiettivi per colpa delle persone fantastiche che ho conosciuto, ma tuttavia ci sono dei dati più oggettivi. Potrei fare una lista, ma non ne ho voglia, ho mangiato troppo oggi e rimandato troppo questo articolo. Inoltre, il punto è un altro: è la prima volta che mi sono innamorato di una città. E buon Natale.

Le mirabolanti avventure di Turtleman

Turtleman venne svegliato improvvisamente dall’allarme. Un nuovo crimine in città! Uscì dal proprio guscio e si avviò lentamente verso il suo antro segreto.
Una povera anziana era nelle grinfie di un malvivente che cercava di derubarla.
Turtleman digitò il numero per aprire la porta del covo.
Il malvivente tirò fuori il coltello, mentre l’anziana signora era paralizzata dal terrore.
Turtleman, mentre cercava di infilarsi i pantaloni, inciampò cadendo sul proprio guscio.
Dopo averla pugnalata più volte, il malvivente scappò con la borsa della povera signora, agonizzante a terra, per comprarsi l’ennesima dose di droga.
Turtleman arrivò sul luogo dell’accaduto. Quattro ore dopo. Quando tutto era già stato sgombrato.
“Un altro falso allarme”

Derek Sivers

Da qualche mese ho preso l’abitudine di ascoltare podcast nei momenti morti, soprattutto mentre mi sposto. Quelli che ascolto ogni settimana sono: Scientificast, un podcast di scienza tutto nostrano; TopLevel, podcast riguardo il mondo di MtG e infine il Tim Ferris Show, in cui spesso vengono intervistate persone di “successo” per estrarne informazioni utili. Quest’ultimo non lo ascolto sempre perchè molte volte gli episodi sono molto lunghi, sulle due ore, ma quando l’episodio è più breve o l’argomento del podcast mi interessa lo faccio e devo dire che ci sto trovando moltissime informazioni utili in fatto di crescita personale e consigli validi.

La settimana scorsa c’è stato un episodio con delle pillole di Derek Sivers, ne sono rimasto talmente affascinato che ho poi scaricato l’intervista completa di due ore. Derek è diventato subito una delle mie persone preferite al mondo, soprattutto perchè come me pensa che Scott Pilgrim vs. The World sia un capolavoro assoluto. Sul suo sito potete trovare molte cose interessanti, ma quella che adoro è la sua sezione dedicata ai libri che ha letto. Non è solo una lista di libri con un riassunto ed un voto, ma per ogni libro ci sono delle note dettagliate con le loro parti migliori. La sua idea è quella di estrarre da ognuno le parti fondamentali, senza avere il contorno (ovviamente non stiamo parlando di romanzi). Ci ho trovato diversi libri che avevo nella mia lista “to read” ed ho potuto esaminarli nelle note, per capire se effettivemente varrà la pena leggerli o meno. Ho inoltre trovato altri libri che non conoscevo, ma di cui sono rimasto affascinato dalle note. Dateci un occhio.

Poi ho subito implementato la sua idea della pagina now, semplice e geniale.

Fatemi sapere cosa ne pensate.